Sabato 18 giugno, un negozio di musica nel quartiere di Beyoğlu ad Istanbul, il cui titolare – secondo quanto riportato da Hürriyet Daily News – è un coreano, è stato “assaltato” da un gruppo di 20 persone e i suoi occupanti picchiati. Motivo? stavano ascoltando il nuovo album degli Radiohead bevendo un paio di birre in compagnia.

Raccontano le cronache ed il video che circola in rete che un gruppo di persone (i testimoni parlano di una ventina) si sono avvicinate: “Non vi vergognate di bere alcol durante il Ramadan?”.  Una delle persone è stata ferita con una bottiglia di birra e il negozio è stato vandalizzato sotto la minaccia che l’avrebbero anche incendiato. “Vi ucciderò”, “Vi brucerò vivi dentro”, si sente urlare nel video.

L’assalto ha richiamato subito alla mente la strage di Sivas del 1993, quando un gruppo di conservatori religiosi bloccarono in un albergo un gruppo di intellettuali aleviti che si erano radunati per la festa di Pir Sultan Abdal, importante figura storico-culturale nell’ambito nell’ambito musicale e Alevita. In quell’occasione una folla di 20.000 sunniti si riunì e circondò l’edificio, dandolo alle fiamme e bersagliandolo con pietre, mentre venivano intonati slogan anti-Alevita e pro-Sharia. Il massacro durò diverse ore durante cui i pompieri, la polizia e la gendarmeria non fecero nulla per aiutare o per fermare il massacro e, anzi, pare che rifiutarono le richieste di soccorso. Costò la vita a 37 persone.

La Turchia non è nuova a gesti di questo tipo. Si tratta di uno “scontro” latente e trova le sue recenti origini negli anni 50, quando fu compiuto il pluralismo partitico e iniziarono ad affacciarsi i primi movimenti politici a matrice conservatore religiosa, in contrapposizione al nazionalismo laico del CHP. Negli anni 60 e 70 si manifestò nelle lotte tra “destra” (rappresentata dai movimenti nazionalisti come i Lupi Grigi) e “sinistra” (rappresentata da movimenti ad ispirazione socialista ma che comprendevano anche minoranze non musulmane come gli Alevi e Curdi) e, a partire dagli anni 80, nella progressiva affermazione di movimenti politici che sulle radici musulmane basarono la propria politica e che, proprio dal 2002, trovò rappresentanza nell’AKP.

Fatti come quello di sabato scorso, quindi, non possono essere descritti come casi isolati. E nemmeno può essere classificato, come molte testate occidentali fanno, come una semplice deriva “islamista” e fondamentalista del paese.

In tutto ciò la religione è solo la narrazionelo storytelling del fenomeno. E’ il vessillo contemporaneo attorno a cui, oggi, continuano i problemi irrisolti di un paese che non è mai riuscito a far pace con il proprio passato e che, all’occorrenza, richiama a valori nazionalistici, religiosi, laici.

Un problema che si può far risalire ai primi insediamenti delle popolazioni turche in Anatolia. Storicamente, infatti, a ogni cambio di “regime” la popolazione veniva abituata a cancellare completamente il passato per adottare la “narrazione” voluta dalla dominazione di turno. Avvenne con la presa di Costantinopoli e la caduta dell’impero romano d’oriente e prima ancora con l’arrivo delle popolazioni turche in Anatolia. Durante lo stesso impero ottomano, al succedersi dei vari sultani, cambiava radicalmente la società: si alternavano, quindi, momenti di “illuminismo”, come con l’arrivo di Suleyman, a quelli più conservatori come con Mehmet II o Murat IV, a quelli riformisti della Repubblica che ruppe definitivamente con l’eredità ottomana. E tutto, nel bene e nel male, in nome di un “ricomincio da capo”.

Di volta in volta, quindi, l’ideologia dominante faceva da padrona, relegando a minoranza, coloro che non erano in linea. Minoranze che, nel momento della rivalsa, finivano per adottare gli stessi metodi, cancellando qualsiasi cosa fatta precedentemente e sostituendola, senza mai “ereditare” nulla del proprio passato.

Ciò che è avvenuto sabato e quanto sta avvenendo nel paese deve per forza essere inserito in questo contesto per poter essere pienamente compreso. E’ lo stesso contesto per cui, ad esempio, in nome di una identità nazionale, dopo la fondazione della Repubblica, i curdi furono naturalizzati turchi e costretti a cambiare il proprio cognome e obbligati a non parlare la propria lingua. Vi fu l’obbligo di togliere qualsiasi segno religioso, sebbene l’islam fosse un carattere essenziale dell’essere Turco; le scuole religiose furono bandite in nome dell’educazione di Stato.

Nonostante proprio la millenaria storia dell’impero ottomano mostri una società a tutti gli effetti multi culturale, internamente la popolazione ha vissuto e vive di assolutismi. Paradossalmente, esiste più intolleranza nei confronti dei Turchi “non allineati”, rispetto allo straniero.

Leggi anche: Intervista ad Alessandro Barbero: da Solimano al neo-ottomanesimo