Una giornata ricca di spunti quella che si svolta venerdì 26 febbraio scorso a Izmir in occasione dell’incontro “Italiani a Izmir: storia, attualità e prospettive della presenza Italiana nella Regione Egea”, organizzata dal ComItEs di Izmir in collaborazione con il Consolato d’Italia a Smirne, Ege Üniversitesi, con il patrocinio del Comune Metropolitano di Izmir e con il supporto operativo de Il Nuovo Levantino.

Dalla storia della comunità levantina, alle esperienze delle nuove migrazioni, l’incontro ha posto una luce nuova sulla presenza Italiana a Izmir. Presenza che, spesso, è poco visibile ma di cui si possono reperire le tracce girando per la città come, ad esempio, la statua equestre di Atatürk in Cumhürriyet Meydanı, di fronte alla sede del Consolato d’Italia a Izmir, realizzata dall’italiano Pietro Canonica o Casa Pennetti, residenza della storica famglia ancora visibile a Karşiyaka.

Forte il messaggio lanciato durante il panel su “le nuove migrazioni“, dove è emerso che il grande problema dell’Italia sembra essere che i giovani hanno perso la speranza nel futuro. In Turchia, invece, nonostante i problemi che il paese sta vivendo, questa speranza è ancora molto viva.

Come un filo rosso ad unire le vecchie e nuove generazioni, la necessità di creare/ricreare quegli spazi di aggregazione in cui la comunità Italiana possa di nuovo trovarsi per mantenere vivo il senso di appartenenza che, nelle nuove generazionidi migranti, sembra essere dissolto ma che allo stesso tempo è sentito come esigenza.

I Levantini: “Dove sono i nuovi italiani?”

L’Italia è stata una parte importante della storia della città. Ad Izmir, infatti, sino al 1930 – come ha spiegato il levantino Peter Papi durante la sua testimonianza – hanno risieduto diverse migliaia di Italiani sin dai tempi dell’impero ottomano e anche prima. “E’ stato con la legge 2007 del 1932 (che riservava alcune professioni esclusivamente a cittadini turchi, NdR) – ha spiegato Papi – che molti nostri connazionali sono stati costretti ad abbandonare la città. Sino ad allora, essi erano parte attiva dell’economia del paese.” Nell’allora Smirne, fino a pochi anni fa, era presente una filiale della Banca di Roma, che fu la prima rappresentanza estera nel paese a cui, solo successivamente, seguì quella di Istanbul.

A testimonianza di questa presenza, la professoressa Inci Kuyulu Ersoy, ha accompagnato la sala attraverso le testimonianze ancora visibili oggi della presenza Italiana in città. Testimonianze rintracciabili in abitazioni di famiglie storiche, come quella di Casa Pennetti ancora esistente nel distretto di Karşiyaka, e come le numerose chiese ancora presenti in città. Nel distretto di Alsancak, ad esempio, il numero di chiese è nettamente superiore rispetto a quello delle moschee. Gli Italiani, infatti, non persero mai il legame con le proprie origini e, ancora oggi, a distanza di secoli, l’Italiano, assieme al Greco, è la lingua parlata nelle famiglie levantine.

Nei decenni della repubblica, tuttavia, il numero di Italiani in città si è progressivamente ridotto sino al 2010 quando, come ha ricordato il Console Luigi Iannuzzi, si è iniziato a registrare un nuovo incremento. Se infatti il numero di Italiani allora superava di poco le 1.000 unità nella circoscrizione consolare, oggi il numero di iscritti AIRE sono oltre i 1.300.

“Eravamo una comunità unita, mantenevamo vive le nostre radici, ci aiutavamo a vicenda. Oggi, si parla tanto di nuovi italiani in città. Personalmente, però, mi domando dove siano” – ha commentato con una nota di tristezza Peter Papi, durante il suo intervento.

Le nuove migrazioni: “Qui siamo più valorizzati”

Una comunità non particolarmente unita è emersa dalle testimonianze raccontate durante il panel “Le nuove migrazioni”, moderato dal giornalista e conduttore radiofonico Sergio Nava (“Giovani Talenti”, Radio 24) che ha anche chiesto cosa rende differente la Turchia dall’Italia. “In Italia i giovani hanno perso la speranza nel futuro” – hanno commentato Anna Lapira, docente di Lingua Italiana alla Ekonomi Üniversitesi e Nicoletta Olivieri, Direttrice del Coro dell’Opera Statale di Izmir,

Entrambe hanno sottolineato come, contrariamente a quanto si possa immaginare, le donne hanno più opportunità di quanto non abbiano in Italia. “Io ho semplicemente mandato il mio curriculum al dipartimento di Italianistica di Ekonomi, mi hanno chiamato per un colloquio e sono stata assunta – ha raccontato Anna LapiraHo provato spesso a candidarmi in Italia, ma non ho mai trovato questa apertura. Nonostante il mio curriculum, avendo lavorato in giro per il mondo, non riuscirei mai ad avere una posizione come quella che ho qui ora“.

“In Italia nel settore teatrale, le posizioni di direttore sono ricoperte quasi esclusivamente da uomini – ha raccontato Nicoletta Olivieri – Contrariamente a quanto mi potessi aspettare, in Turchia hanno apprezzato il mio curriculum dandomi l’incarico di Direttore del Coro dell’Opera Statale, ruolo che non sarei mai riuscita ad avere in Italia”.

Franco Pacini, Chief Operation Officer del gruppo turco Tiryakiler Group ha evidenziato di essere rimasto positivamente impressionato dalla cultura dell’ospitalità: “La prima cosa che ho notato – ha spiegato Pacini – è l’utilizzo costante della parola hoşgeldiniz (trad. benvenuto, NdR) ogni volta che entri in un negozio,ufficio o arrivi a casa di qualcuno. Questo mi ha fatto riflettere su come sia importante per i turchi il concetto di ospitalità“.

Pietro Alba, Industrial Site Director di Indesit (oggi Whirpool) ha fortemente evidenziato l’operosità e la voglia di fare e imparare che hanno i turchi. “Ancora come Indesit ho avviato il secondo stabilimento dell’azienda a Manisa. Siamo stati in grado di completarlo in meno di un anno e questo grazie sia alla operosità dei turchi, sia a un quadro normativo pensato appositamente per agevolare l’industria

I “nuovi levantini”: “vogliamo incontrarci”

All’interno dei due panel è stato evidenziato un medesimo aspetto: la mancata conoscenza reciproca tra i levantini e gli italiani di nuova emigrazionie, percepiti reciprocamente come distanti, chiusi, isolati. Di qui è emersa l’esigenza di avere degli spazi comuni in cui potersi incontrare, scambiarsi esperienze ed idee, cercare il reciproco aiuto e supporto come dovrebbe essere una comunità. Incontri come questo, è stato detto da molti dei presenti, “sono utili per incontrarci, ma dovrebbero essere più frequenti e meno formali”.