Ankara-10-Ottobre-2015

“Non è solo morta, l’hanno ammazzata”.

Ero seduto davanti a Onur, stavamo prendendo un caffè prima di entrare al cinema per uno dei film di Film Ekimi. Avevamo già saputo delle esplosioni ad Ankara e, ciascuno con il proprio cellulare, cercavamo informazioni e aggiornamenti. Ad un certo momento lo sguardo di Onur si è fatto cupo e gli occhi si sono arrossati. Si è messo a piangere. La sua amica di infanzia, Ayşe, era tra le vittime di quel barbaro gesto che sabato ha devastato la Turchia. L’ha scoperto dal profilo della ragazza su Facebook dove sono arrivati prima messaggi di preoccupazione, poi rumori della possibile morte, infine la tragica conferma.

Ayşe è un nome di fantasia. In realtà credo non mi abbia nemmeno detto il nome, ma poco importa. Potrebbe essere uno delle decine di volti che anche il Corriere della Sera ha pubblicato. “Ayşe” era partita da Izmir, così come molti altri da altre parti della Turchia, per andare a dire basta a questo scontro al massacro tra governo turco e PKK. Scontro che arriva quasi all’apice di un climax di tensione che, a partire da Gezi Park, si è accentuato nel paese e che ha portato ad una progressiva e rapida polarizzazione tra le varie anime della Turchia.

“Non è solo morta, l’hanno ammazzata”. Una breve, sintetica, gelida, ma tanto significativa espressione per descrivere il sentimento che sta pervadendo in chi, in queste ore, è passato dallo stupore, alla rabbia e a un profondo stato di dolore.

E’ già stato detto che ciò che è accaduto ad Ankara é il più grave attentato della storia della Turchia. Molti vedono similitudini con quanto già successo a Dyarbakır e Suruç. Forse è ben più grave. Non è solo una questione di numeri. Mentre i due precedenti attentati avvenivano in due città poste ad est del paese, luogo già carico di tensione, e durante due iniziative politiche, la strage di sabato ha luogo nella Capitale, in un contesto di manifestazione civile promossa da associazioni civili. Solo per rendere l’idea, immaginate che fosse successo durante una qualsiasi manifestazione, come ad esempio la marcia per la pace di Assisi; in una città che fino ad allora è stata considerata sicura; in un contesto in cui è l’idea e non l’ideologia a guidare; dove ci sono operai, medici, studenti e bambini.

Questo può aiutare a capire come un evento già devastante di per sé diventi un vero e proprio trauma, in cui oltre al dolore e alla rabbia entra la frustrazione dettata dall’impotenza e aggravata da una politica che, come accade in tutti i paesi, da una parte all’altra dell’arco parlamentare, strumentalizza l’accaduto dimenticando, spesso, che tra le vittime ci sono Ayşe, e il suo amico Onur.